Pubblichiamo uno stralcio di un articolo di Beppe Facchetti tratto da www.pensalibero.it

Zingaretti ha un ruolo importante ma lasci stare il neoliberismo
Beppe Facchetti

[…] C’è però un’altra questione non secondaria da chiarire per una valutazione liberale dei primi passi della segreteria Zingaretti. Nel suo sudato discorso di insediamento, ad un certo punto è scappato a Zingaretti uno dei tic che più vanno di moda in questo momento, e cioè la condanna di un certo “liberismo” da lui definito “becero” che a suo avviso avrebbe causato le diseguaglianze di questo nostro mondo. Per fortuna ha aggiunto becero. Di per sé, qualunque cosa non va bene, se è becera. Anche la “piazza grande” dello slogan ottimista di Zingaretti se diventa becera è da condannare: abbiamo visto piazze davvero becere, dalla Bologna del gran giorno del vaffa, alla Verona di Dio Patria e Famiglia.
Zingaretti forse voleva fare un complimento al liberismo non becero, ed è pur vero che se è becero non è liberismo, ma è più giusto pensare che invece, conformisticamente, abbia voluto far accenno ad una certa cultura mainstream che sta prendendo piede forse perché smarrita e senza riferimenti. Lo conferma, nel discorso del segretario PD, la correlata affermazione che questo presunto liberismo si sia “ringalluzzito” per la fine “poco dignitosa del socialismo reale”. Insomma, il liberismo cattivo e il socialismo reale (lo chiamiamo comunismo, non è meglio?) “poco dignitoso”. Con il piccolo particolare che essendoci tra le colpe del liberismo quella della globalizzazione, non c’è mai stata nella storia un’emancipazione delle masse come quella promossa dalla globalizzazione. Quasi un miliardo di persone uscite dalla miseria di un dollaro al giorno.
Certo, con qualche ricaduta nelle società più opulente, che hanno registrato nuove e pesanti diseguaglianze, e l’assalto dell’immigrazione, con la discesa verso il basso del ceto medio e l’accentuarsi delle distanze tra la punta dell’iceberg super ricco e la base super povera. Ma questi fenomeni e lo stesso populismo si combattono con il riformismo, con le regole flessibili e dinamiche tipiche della società liberale, naturalmente a patto che vi sia una classe dirigente con le idee chiare e non imitativa, come si diceva, dei suoi nemici. E aggiungo, che non abbia un occhio indulgente per un fenomeno storico come il crollo del socialismo reale. Altro che poco dignitoso… È il fenomeno che le masse di cui sopra le ha condannate alla miseria materiale ma soprattutto alla mancanza della libertà e per l’appunto della dignità. Poco rispettoso della dignità, il socialismo reale lo è stato non quando è finito, ma quando era trionfante in mezzo mondo. Certo non è stato semplicemente becero. Quest’ultimo aggettivo non è lontanamente applicabile, perché troppo gentile, alla realtà di un mondo che pure ha tanto affascinato e ingannato le masse, compreso il Zingaretti in giovane età. Spiacevole dirlo, perché tanta acqua è passata sotto i ponti e tutti vi ci siamo immersi, ma non si girano le pagine della storia usando un paio di aggettivi frettolosi.
Una decina di anni fa, uscì un libro di Alesina e Giavazzi intitolato “Il liberismo è di sinistra” e mi permisi di correggere quella scelta, più dell’editore che degli autori, sostituendo la parola liberismo con la parola liberalismo, che mi sembrava più adatta – specie in quel periodo – a dare un orizzonte ad una sinistra riformista. È in fondo l’opzione tuttora sul campo tra un liberalismo moderato e uno di sinistra, entrambi di grande valore. Un liberale può anche essere liberista, ma spesso un liberista trascura le ragioni liberali e rischia di cadere nell’egoismo, ma non è mai becero. Il dibattito sarebbe lungo e dovrebbe ripartire dalla celebre disputa tra Croce, liberale, ed Einaudi, liberista. Ma era una forzatura dovuta alla controversia teorica. Altrimenti personalmente avrei dovuto schierarmi con Croce e per una volta dissentire da Einaudi, mentre li considero entrambi maestri di pensiero. Andrebbero letti insieme.
Per attualizzare il dibattito teorico, consiglio il volume recente di Alberto Mingardi, “La verità, vi prego, sul neoliberismo”, che ha un sottotitolo significativo: “il poco che c’è, il tanto che manca”. Il “poco che c’è”, appunto. Non vedo in giro per il mondo questo gran trionfo del liberismo. Alte tassazioni e alti disavanzi pubblici non sono liberismo. Forse le opinioni sono distorte dalla non conoscenza e dalla facile demonizzazione della cosiddetta austerità, che poi altro non è che il rispetto delle regole economiche. Vedo piuttosto tanto statalismo, tanto dirigismo, persino la rinascita dei dazi e il successo del sovranismo.
Il guaio è un altro. Si scambia per liberismo il richiamo per l’appunto al rispetto delle regole (che sono poi quelle del liberalismo, essendo questa la teoria dell’eguaglianza attraverso il rispetto di criteri preordinati, mai retroattivi) o addirittura il semplice richiamo ai numeri e alle percentuali. Le banche sono becere se chiedono conto dei crediti che hanno erogato? Lo spread è becero, se segnala che un Paese perde sovranità se fa manovre finanziarie basate su nuovo debito?
Andiamoci pure cauti con la funzione salvifica del mercato, non è da liberali santificare qualcosa, farne un feticcio. Ma facciamo fatica a trovare un meccanismo migliore per tutelare i deboli e per promuovere l’uguaglianza dei punti di partenza. Certamente il mercato deve avere regole, pesi e contrappesi, organi di controllo indipendenti, insomma tutto ciò che arricchisce la democrazia e la fa diventare democrazia liberale. Altrimenti è solo un modo di contare le teste anziché spaccarle, condizione necessaria, ma non sufficiente. Temi di sinistra che segnaliamo a Zingaretti, anche per evitare dei finali “poco dignitosi”.

Author