Ad Open Gate Italia si è tornati a parlare di futuro e innovazione con Prospettiva Europea. E la tavola rotonda “Europa 4.0, le nuove dinamiche competitive dal globale al locale” è stato solo il primo di tanti incontri dedicati all’analisi dell’impatto delle nuove tecnologie sulla crescita italiana. Il discorso ha preso il via a partire dalla presentazione del libro “Europa 4.0 Il futuro è già qui”, edito da Livingston, a cura di Roberto Giuliani e Paolo Carotenuto.

Il volume, costituito da 20 saggi, pubblicato nell’ambito della collana EuropaLab, presenta un’analisi dello scenario che si profilerà nel prossimo futuro e propone, attraverso i contributi dei diversi autori, degli spunti di riflessione sulle trasformazioni sociali legate alla rivoluzione digitale. Anche perché, come sottolineato da Roberto Giuliani, curatore del volume: “Ci troviamo nel momento di passaggio dalla cultura del possesso a quella dell’accesso. La vera sharing economy deve ancora arrivare. E’ bene che le nostre aziende siano pronte ad affrontare al meglio tale cambiamento.”

Sostanzialmente, quando si parla di digitale e di innovazione i temi da affrontare sono due.

In prima battuta, la questione è l’eventuale regolamentazione dell’economia digitale, con particolare attenzione al regime di concorrenza degli Over the Top. È il caso di continuare a lasciarli liberi di agire sul territorio, senza pagare tasse o assumere personale locale? Oppure è necessario strutturare una regolamentazione ad hoc?

A livello critico va osservato che la maggior parte delle start up non sopravvivono un lungo periodo dopo la fondazione. Le poche giovani imprese che riescono a sviluppare un proprio processo produttivo e ad affermarsi sul mercato, in breve tempo vengono assorbite dalle grandi aziende. Per determinare una crescita dell’economia italiana bisognerebbe bloccare questo meccanismo e fare in modo che le start-up locali si affermino prima in ambito nazionale e poi Europeo. Per questo, come ha sottolineato durante il dibattito Clint Borg, Counselor dell’Ambasciata maltese: “Sarebbe opportuno un maggior coinvolgimento da parte della Commissione Europea che dovrebbe indicare delle linee guida da seguire, valide per tutti i paesi dell’Unione.”

L’altra questione fondamentale è il tema della formazione digitale. Perché, come affermato da Paolo Carotenuto, direttore della rivista Europalab e curatore del volume: “Lo sviluppo corre ed è difficile stargli dietro. Tuttavia, proprio dalle difficoltà e dalle lacune di competenze nascono le soluzioni.”

Al dibattito sono emerse alcune interessanti considerazioni per affrontare il problema della formazione e trasformare la digitalizzazione in un’opportunità per le PMI locali.

L’integrazione è una componente fondamentale per fare in modo che l’Italia stia al passo con i tempi e con l’Europa. Da una parte Raniero Chelli, progettista Unimed, sulla base delle sue esperienze nel nord Europa ha dimostrato l’efficienza di un forte collegamento tra il mondo del lavoro e quello delle università. Infatti, strutturando i corsi in base alle esigenze delle aziende, si assicurano ai giovani tutte le competenze necessarie per integrarsi perfettamente nel mondo del lavoro dopo la laurea. Dall’altra Alberto di Gaetano, architetto siciliano, ha sottolineato la necessità di integrare tradizione ed innovazione, per non perdere le peculiarità artigiane del nostro territorio che sono un bagaglio prezioso per l’intera umanità.

In più, c’è da considerare che il mondo del lavoro stesso è destinato a cambiare sulla base delle innovazioni tecnologiche che stanno già determinando una forte riduzione del lavoro subordinato. Per usare le parole di Edoardo Fioriti, giuslavorista, Studio Cafiero Pezzali è come se “L’innovazione tecnologica andasse a scardinare il paradigma del rapporto di lavoro novecentesco che legava lavoratori a impresa”.

In conclusione, il prof Chiarenza, docente di Storia delle Comunicazioni, è intervenuto lanciando una provocazione. In Italia il tema della formazione non potrà essere risolto finché le soluzioni saranno demandate allo Stato, caratterizzato ancora – specialmente al sud –  da un eccesso di burocrazia e di clientelismo. Secondo il professore, l’unico modo per risolvere in maniera definitiva la questione della formazione in Italia sarebbe quello di privatizzarla, affidandola alle aziende. Queste ultime dovrebbero essere incoraggiate attraverso un sistema di incentivi fiscali. Così, come dimostrato anche dalle esperienze nordeuropee, il sistema didattico sarebbe pienamente coerente con la domanda di lavoro da parte delle imprese.

Infine, per quanto riguarda l’ingresso e la permanenza degli OTT sul mercato italiano, per Chiarenza la soluzione non è tanto la regolamentazione, troppo rigida per creare un sistema attraente per gli investitori; quanto puntare sui contratti. Strumento spesso sottovalutato ma prezioso nella misura in cui unisce le esigenze di tutela dei lavori con la flessibilità richiesta da un mercato in continuo movimento e mutamento.

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